Luca Casarini sulla giornata del 14 dicembre a Roma (da www.globalproject.info)
La giornata di ieri a Roma può essere definita, secondo me, una giornata storica, fuori da qualsiasi tipo di esercizio apologetico di qualcosa oppure di “tifoserie” o di banalizzazioni da una parte e dell’altra.
Storica perché succede nella storia che si saldino a volte, nella società, alcuni elementi che poi tutti insieme formano, danno la caratteristica, diciamo così, di svolta, di un punto profondo di modificazione di ciò che è stato prima e di ciò che sarà dopo.
Questo è successo a Roma perché in realtà è stata una giornata caratterizzata da diversi elementi.
Primo elemento una presenza enorme che non si era mai vista, frutto del fatto che c’è un movimento reale, che parte dall’università ma che coinvolge quella che è definita una condizione generazionale della precarietà.
Un movimento che poi si innerva nei suoi legami con le soggettività che stanno emergendo a partire dalle lotte ambientali nei territori, a partire dalla condizione nelle fabbriche di questo paese, in cui si vive una realtà totalmente diversa da quella che anche le forme classiche del sindacato hanno sempre affrontato. Una situazione che si innerva poi nella questione metropolitana più generale, nella povertà della vita impostata all’interno della crisi che viene fatta comunque pesare su milioni di persone in questo paese.
Insieme al grande numero e alla grande partecipazione c’è stata anche una grande qualità. Una qualità di ragionamento che viene fatta a partire dal movimento dell’università ma che poi si estende ad un ragionamento sulla crisi.
Questo movimento enorme non si riferisce a quella che è una indicazione sul futuro ma si riferisce a condizioni materiali di vita. Fa le su battaglie a partire da condizioni che devono cambiare qui ed ora: dal decreto Gelmini al piano rifiuti, alla questione del terremoto dell’Aquila come gestione in termini di shock economy delle tragedie da parte di questo governo, alla questione del reddito del lavoro e del salario. Tutte questioni molto concrete.
In questo senso il movimento è un movimento del presente, che chiaramente può aprire un futuro, ma che non ha in un futuro altro, possibile e assolutamente non definito, il suo obbiettivo.
Ha l’obbiettivo di conquistarsi qui ed ora delle condizioni materiali di vita diverse.
In questo si salda poi anche un elemento di vuoto della politica. Vuoto della politica nel senso che non c’è alcuna risposta politica a questo tipo di domanda sociale, a questo tipo di contraddizioni, anzi la risposta della politica è un arroccamento nei propri palazzi e nei propri giochi, ma anche perché non ci sono risposte possibili da dare nella gestione della crisi che è impostata in termini capitalistici.
La gestione della crisi è impostata di piani di stabilità europei, al di la dei governi di centro destra o di centro sinistra. E’ impostata con un “lacrime e sangue” e un’ austerity da far pagare alle persone per salvare le banche.
Questo è un dato globale oltre che europeo ed italiano. Chiaramente c’è anche l’anomalia italiana, basta guardare a quello che si sta vivendo dal punto di vista della crisi della rappresentanza.
Che la rappresentanza politica non coincida più con nessuna rappresentanza sociale è la fotografia di quello che è successo in questi giorni, in questi mesi al Parlamento e che poi è in realtà l’incapacità di tradurre in risposte politiche una contraddizione sociale.
Questo è un problema che hanno ben presente anche coloro che governano e coloro che sono all’interno dei percorsi istituzionali dei partiti. Dai commenti pare addirittura che ce l’abbia più presente chi comanda, che non coloro che dovrebbero essere all’opposizione, che si trincerano dietro ai giochini aritmetici o alle strategie di D’ Alema e sulla piazza di Roma dietro alle semplificazioni su chi sono i buoni e i cattivi, mentre invece dovrebbero leggere con più profondità ciò che sta accadendo nella società. Questo è un dato strutturale, di crisi sistemica.
Questi elementi si saldano, esplodono a piazza del Popolo in una dinamica di rivolta, in una esplosione sociale di una generazione compressa, tappata e che oggi pratica il suo rifiuto, anche attraverso una dinamica, diciamo così, semplice, del contrapporsi al potere costituito rappresentato in questo caso dalla polizia che impedisce di camminare, che blinda i palazzi e che è la personificazione del potere nel senso lato.
Esplode in un dato di rivolta generalizzata perché non è solamente il problema dei numeri, di chi pratica questo tipo di resistenza ed attacca questa dimensione del potere. E’ quello che accade in piazza a farci dire che è un esplosione sociale, che non può essere liquidata con le forzature di una soggettività, di un singolo, di un individuo.
E’ un dato sociale quello che abbiamo di fronte quando la piazza regge, sta lì, applaude addirittura nel momento in cui i manifestanti respingono il tentativo dei blindati della finanza e della polizia di invadere piazza del Popolo.
E’ una piazza consapevole. E’ una piazza consapevole che probabilmente questo tipo di rivolta se non ha un progetto politico non può avere degli sbocchi ma è anche consapevole che “quando ci vuole ci vuole”, che c’è stato un meccanismo che per troppo tempo è stato compresso da dinamiche che invocano e impongono la pace sociale, imponendo però anche sacrifici tutti a senso unico.
E’ un dato che non avevamo di fronte prima, che non c’entra nulla con quello che è accaduto a Genova, perché è un’altra cosa. E’ una cosa che c’entra invece con dei passaggi storici che ci sono stati nella storia. Mi viene in mente Piazza Statuto, il 68 dal punto di vista della rottura generazionale e della conquista di un meccanismo di vita diverso. Mi viene in mente, in questo senso sì, come esplosione sociale, il 77 o come dice oggi Tano D’Amico sul Manifesto di oggi il 48 di Parigi.
Qui siamo in presenza di un tumulto, questo è stato ieri anche Piazza del Popolo. Il dato su cui riflettere è questo. Bisogna fare una grande riflessione e credo che ci siano già spunti interessanti nelle letture che si fanno oggi, il giorno dopo, di cosa è successo ieri a partire da tanti e diversi, a partire anche dal luogo comune che è lo spazio di “Uniti contro la crisi”.
Avere un atteggiamento per cui non si enfatizza ciò che è il dato reale ma si costruisce una possibilità politica di leggerlo e di dare un percorso a tutto questo, perché si alimenti un percorso politico comune.
Io credo che sia fondamentale che il percorso di “Uniti contro la crisi” si alimenti di ciò che è successo in una forma matura, così come anche il movimento degli studenti stesso.
Perché è evidente che oggi la riflessione è su come si va avanti.
Chiaramente i fatti di Piazza del Popolo non possono spiegare come si va avanti e non dobbiamo nemmeno pretendere che spieghino come si va avanti.
Il come si va avanti è frutto di una complessità, di un progetto, di una autorganizzazione continua del proprio percorso ed anche della dinamica, diciamo così, della democrazia reale, che va a riempire i vuoti della democrazia politica che si restringe sempre di più.
Io credo che questo sia un dato fondamentale perché altrimenti non coglieremmo appunto la portata storica di ciò che è successo, di ciò che tutti insieme abbiamo contribuito a costruire, come cornice, come dinamica di protagonismo sociale.
Credo anche che oggi sia fondamentale che le grandi battaglie che abbiamo di fronte (dal decreto Gelmini alla questione della Fiat di Marchionne, alla questione del problema del reddito e della precarietà, delle forme del neo schiavismo presenti nella cura capitalistica della crisi fino alla battaglia ambientale che si fa nei territori dal sud al nord) siano elementi che debbano trovare una capacità di articolare la proposta politica.
Una capacità di articolare ed allargare una proposta politica e non di restringerla, non di fotografare quello che è accaduto ieri tenendolo fermo ma di costruire, da quello che accaduto ieri, una maggior consapevolezza di quanto ci sia oggi bisogno di una ricomposizione sociale e politica di ciò che sta accadendo verso una stagione di lotte nuova.
Siamo ad una svolta perché c’è una fase nuova ed è segnalata anche da un meccanismo che non si chiude, non si semplifica anche rispetto al problema del governo di questo paese, anche rispetto al problema delle ricette europee che arriveranno con una finanziaria enormemente più devastante di quella che abbiamo oggi con imposizioni europee delle banche centrali enormemente più gravi nei confronti della vita delle persone.
Dobbiamo essere consapevoli che siamo in presenza di una fase storica che si sta aprendo, questo lo vediamo in tutta Europa, in tutte le metropoli e dobbiamo essere capaci di leggere queste cose oltre che starci dentro, assumendole come dato reale, di realtà, non come dato di “tifoserie” e quindi di facile semplificazione. Oggi bisogna rilanciare il movimento. Non è facile, non è una cosa semplice, perché i tumulti non sono elementi che di per sè possono costruire una proposta societaria o un’ idea di società. E’ necessario che i tumulti siano all’interno e siano motore di una cosa più grande di una visione politica in cui le lotte hanno degli obbiettivi precisi che già costruiscono un progetto che vive nel quotidiano.
Tutti questi passaggi che abbiamo di fronte ci portano a dire che il meeting seminario lanciato da Uniti contro la crisi, che si terrà il prossimo 22 e 23 gennaio all’interno degli spazi del Centro Sociale Rivolta di Marghera, è un appuntamento fondamentale.
Un momento importante per definire, ad esempio, che cosa significheranno gli stati generali della conoscenza in termini di articolazione del lavoro cognitivo che è al centro della produzione oggi, ma che allo stesso tempo è anche al centro dello sfruttamento della mannaia della crisi. Un momento per discutere ed articolare, ad esempio, insieme che cosa significa star dentro il conflitto operaio che si determina oggi in una forma nuova, che oltrepassa il sindacato e che le forme sindacali classiche non riescono più a interpretare e cosa significa a questo proposito legarli al problema del reddito, di un nuovo welfare . Un occasione, ad esempio, per pensare ad un referendum per abrogare il decreto Gelmini, come già sta partendo come suggestione nell’Università e che potrebbe avvicinare alle esperienze che i movimenti sui beni comuni come quello dell’acqua stanno facendo. Un momento per articolare anche un progetto ecologico alternativo all’interno di questo percorso.
Tutti questi nodi aperti possono nel seminario-meeting del 22 e del 23 gennaio a Marghera trovare una grande occasione per costruire un nuovo impulso alla progettualità politica collettiva, proprio a partire anche dalla storica giornata di ieri che nella sua complessità ci ha messo di fronte alle difficoltà vere, quelle che nascono dalle cose che cambiano innervate della vita reale delle persone.